AUSILIARIE NELLA RSI (REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA)



PERCHE’ AUSILIARIA?
Gigliola Molignoni
 
 
    Partimmo anche noi mature e giovanissime donne del Fascismo per realizzare in valido aiuto la nostra semplice offerta; partimmo a tutti i costi, rifiutando di continuare a vivere nel limbo privilegiato, asettico, mondano, apolitico, indifferente, in cui la morale corrente borghesista e opportunista nella quale i latenti pruriti antifascisti si andavano concretando in foia di tradimento e di codardia - pareva voler continuare a relegare la donna.
    Non ci rendemmo conto, lì per lì, che solo un'educazione non improvvisata ci aveva mosso. Dovunque arrivò, nel volgere di pochi mesi, l'opera efficace ed organizzata, sorretta dalla tensione ideale, ma non per questo meno intelligente e lucida, della donna italiana in grigioverde, si evidenziò quanto poco rispondente al vero fosse l’assioma che il Fascismo avesse privilegiato un'educazione mirante a perpetuare lo stato di minorità femminile.
    18 aprile 1944 costituzione ufficiale del Servizio Ausiliario Femminile che sancì la disciplina militare e l’uniforme grigioverde per le volontarie, organizzò i corsi di addestramento preparatori ai molteplici compiti. Il rinato esercito italiano - già vilipeso dall'ombra del tradimento martoriato della tronfia insipienza e dalla viltà di tanti vertici militari - si arricchì di una nuova inusitata componente: il SAF che consentì ad alcune migliaia di donne di entrare nelle Forze armate della Repubblica Sociale Italiana per espletarvi, in parità di diritti e di doveri, tutti i compiti ritenuti necessari ed opportuni.
    Non fu snobistico o antagonistico atteggiamento dì rivolta sessuale o culturale; né fu quella licenziosa bagarre cui poi il femminismo ufficiale postbellico, sinistroide o intellettuale, si abbandonò con la pretesa di un rivoluzionarismo fasullo, parolaio e amorale.
    Fu forza morale e ideologica, fu concezione unitaria che portò a considerare le energie femminili e quelle maschili fuse in un'unica grande forza al servizio della Patria, nel crisma di una sola profonda fede percossa ma non domata dalle sconfitte e dal tradimento, dalle lacrime e dai lutti, che le migliori donne italiane vollero e seppero tradurre in forza di bene, in fioritura di nuove certezze. Una rivincita sulla pigrizia e sull'inerzia morale, sulla indisciplina, sulla meschinità, sulla vigliaccheria.
    Con coraggio morale e fisico senza ombre, con fermezza di principi e spirito libero e fiero, le Ausiliarie seppero infischiarsene dei visi ostili e ironici, troppo spesso chiusi in mutismo di compatimento o di diffidenza. Un genuino spirito volontaristico seppe divorare le distanze: e fu l'offerta senza calcoli e senza patti, dono luminoso e purissimo, esempio trascinatore, canto gaudioso, promessa e giuramento: "Siamo fiaccole di vita, siamo l'eterna gioventù!".
    Fu semplicità e armoniosa coerenza ad una linea di condotta che, fedele a coscienti regole di stile, seppe guidare azioni e parole, dopo aver orientato idee e giudizi; fu costume di vita che significò conquista di superiore equilibrio, di coscienza responsabile, di nuova dignità di pensiero e di azione.
    La consegna mussoliniana per la battaglia "sul fronte interno, sul piano politico economico e spirituale, sul piano dello stile" coinvolse, senza eccezioni sociali, studentesse e lavoratrici: fede, entusiasmo, spirito di sacrificio, disinteresse, umana solidarietà, furono tavole morali che impegnarono il fiore delle donne italiane.
    Contro la concezione di madri più o meno consacrate al sacrificio codificato della loro funzione, di spose e sorelle passivamente piangenti ed eternamente malinconiche nell'attesa, le Ausiliarie cancellarono la parola 'sacrificio' dal loro vocabolario; si mossero controcorrente, si gettarono alle spalle pregiudizi e cattiverie, sparsero il seme di un nuovo codice dei sentimenti e dei comportamenti, di una diversa accettazione di responsabilità di fronte al dolore e all'amore, primo fra tutti quello per la propria Terra.
    Disponibili ma non deboli, misero a frutto la innata capacità di sopportazione per lavorare oltre ogni limite umano, per resistere alle prove durissime e alle non poche privazioni; utilizzarono l'atavica carica aggressiva muliebre per affrontare e superare difficoltà smisurate, si sentirono parte attiva di una società che non era massa, ma comunione di spiriti consapevoli, altamente e idealmente sollecitati.
    Con mani tenere e forti, con capacità di amore intelligente e sublime, con dedizione incommensurabile, ma consapevole e genuina - mal celata dal sorriso scanzonato e dalla vivacità della presenza - resero in umiltà e silenzio servizi preziosi e talora disperati, compreso quello di sorridere e di trovare la forza per far sorridere pur nelle ore più tragiche:
    Splendida e generosa giovinezza femminile che seppe imporsi, con decisione e coraggio, alle opinioni preconcette e scettiche di donne e uomini, non solamente antifascisti; che esplodeva spesso in cori squillanti di fede e di sfida, ma ammutoliva nella spasmodica tensione dell'orecchio teso a percepire il lamento dei sepolti fra le macerie; che credette nella vita come in una sublime avventura eroica esente da bassezze e da miserabili personalismi.
    I "figli di mamma" compatiti e infantilmente vezzeggiati - assuefatti alla eterna lagna masochista, al perpetuo rimbrotto, al vittimismo sistematico di madri, spose, sorelle, figlie immature non compresero - come del resto la maggior parte delle donne relegate nell'antiquato concetto di una missione assistenziale ristretta alla piccola beneficenza di vecchio stampo - "la grinta", tanto più rara e ammirevole quanto più poteva essere, o sembrar difficile, il fatto di opporsi ad ogni specie di conformismo, di quelle che si mossero contro ogni facile e umana tentazione di tirare a campare o a sopravvivere, di chiudersi in un guscio di estraneità, di indifferenza o di egoistiche futilità, di preoccuparsi soltanto dei ristretti casi personali o familiari, in cambio di una piccola miserabile pace, che era soltanto una resa.
    "Combattenti" dal cuore puro, saldo, vigile e pronto che scelsero la "parte sbagliata" quando sarebbe stato tanto più comodo imbrancarsi in "quella giusta": ma entrarono in maniera dirompente nella storia oltre che nel costume, senza sofisticati gingillamenti su eventuali e improbabili contraddizioni di ruoli, senza macerazioni intellettualistiche e sentimentaloidi sulla emancipazione femminile o sulla contrapposizione dei sessi senza velleitarismi concorrenziali nei confronti degli uomini.
    Se mai, con l'identica maniera di sentire la Nazione, con lo stesso ideale, con le stesse passioni, gli stessi odii, lo stesso amore. Orgoglio di aver vissuto ciò che vivemmo è qualcosa che va al di là della vita e della morte, perché ci dà la coscienza del dovere compiuto nel nome di una Patria grande e magnifica, anche se irriconoscente, che comunque ci consentì di vivere il periodo più fulgido della nostra vita, che ci attanaglia con la nostalgia dell'entusiasmo.
    Furono pochi mesi che fecero una generazione di donne: infelice ma pura, il cui slancio non riuscì ad arrendersi all'inspiegabile tragico destino; una generazione alle cui scampate fu commesso il peso tremendo di dover continuare a vivere, cui fu riservato il privilegio e il castigo di essere state risparmiate. Eravamo senza vita, senza luce, senz'altra coscienza che quella della sconfitta, senza alcun rimpianto se non quello della carne inutile. E nel dolore profondo rinacque la speranza e fu ancora viva la fede.
    Si ritrovano - nelle purtroppo assai poche citazioni - volti ed episodi che - se per quelli d'oggi vogliono dire nomi come altri che il rispetto circonda ed esalta - per chi li visse significa ancora una lacrima di gioia o di dolore, una stilla di sangue cui si lega il perché di un momento storico che è diventato più grande della vita stessa. Si possono fissare o no date e nomi: per gli italiani e le italiane di oggi sono storia. Per chi ci fu sono leggenda di patimenti e di amori. Per tutti sono pagine di commozione e di grandezza.
 
 
NUOVO FRONTE N. 160-161. Gennaio-Febbraio 1996 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

 
IL PROFONDO INNOVAMENTO DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA SUL MONDO FEMMINILE
Dalla "PREMESSA" al "Servizio Ausiliario Femminile nelle Forze Armate della RSI" (NovoAntico Editrice)
 
   Comprendere il fenomeno dei Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica Sociale italiana è praticamente impossibile, se non si analizza in breve la rivoluzione che il Fascismo operò nel mondo femminile durante il Ventennio.
   Per la prima volta in Italia, la donna venne valorizzata e resa autonoma nelle sue scelte e nelle sue prospettive: le fu affidato il settore a lei più congeniale dell'assistenza all'infanzia e alle categorie disagiate e, in tale compito, ebbe piena autonomia e piena responsabilità.
   Fu incoraggiata a dedicarsi allo sport (scavalcando la palese ostilità della Chiesa): furono creati l'Accademia Femminile di Educazione Fisica di Orvieto e i vari Collegi, retti dal Partito Nazionale Fascista, nei quali le ragazze "capaci e meritevoli", segnalate dagli insegnanti, venivano fatte studiare gratuitamente, a spese non dello Stato ma del Partito stesso. Tali "scuole" raggiunsero una notevole fama, anche a livello internazionale, per la serietà degli studi, la disciplina dello sport e la vita gioiosa e serena che vi si conduceva.
   Le organizzazioni femminili fasciste erano affidate esclusivamente alle donne e la Segretaria Nazionale rispondeva dei suo operato soltanto al Segretario dei Partito, il quale esercitava però la sola vigilanza amministrativa e di coordinamento.
   Le donne si dimostrarono all'altezza della fiducia riposta in loro. In quel particolare clima spirituale, fatto di amore per la Patria, senso della disciplina, del dovere e del sacrificio, le giovani d'Italia si formarono sia nelle scuole che nelle attività educative dell'opera Nazionale Balilla (divenuta poi Gioventù italiana dei Littorio), dei Fasci Femminili e dell'opera Nazionale Maternità e Infanzia.
   Allo scoppio della seconda guerra mondiale molte italiane parteciparono al conflitto quali crocerossine, oppure frequentarono corsi di pronto soccorso, coloniali, dell'Unione Nazionale per la Protezione Antiaerea(U.N.P.A.), o dei Servizio Avvistamento Aereo dell'Aeronautica Militare, esercitando le previste funzioni di visitatrici degli ospedali militari - in aiuto e supporto alle strutture ospedaliere stesse - o di assistenza sotto i bombardamenti. Bambine e ragazze delle scuole medie inferiori e superiori confezionavano indumenti per i soldati al fronte e andavano a visitare i feriti negli ospedali, mentre i militari di passaggio con le tradotte e quelli di stanza nelle caserme ricevevano generi di conforto accompagnati da un sorriso femminile.
 
 
Da "SERVIZIO AUSILIARIO FEMMINILE NELLE FORZE ARMATE DELLA RSI" NOVANTICO EDITRICE, C.P. 28 10064 Pinerolo (TO), Tel. +39 (0) 337 215.494, Fax +39 (0) 121 71.977, Segr.Tel. +39 (0) 121 74.417
NovAntico Editrice Sito in Internet
 

SOTTO LE BOMBE DEI LIBERATORI Verona, gennaio 1945. La città scaligera viene colpita da una nuova aggressione aerea terroristica che mette a dura prova la resistenza della popolazione, già provata da lunghi anni di guerra. Abbiamo trovato, su un periodico dell’epoca, questo articolo che pone in risalto il comportamento delle volontarie della RSI in quella dolorosa circostanza.
 
 
(...)
Anche le Ausiliarie all’opera
    Quasi in nobilissima gara con i militari, le Ausiliarie dei vari Corpi Armati della città hanno dato larghe prove di abnegazione.
Molte di esse, guidate dalla loro Comandante (Elena Ranzi, ndr), non esitarono a recarsi prontamente sui luoghi colpiti, prodigandosi tutte nel soccorso ai feriti, nel recupero delle vittime, nella rimozione delle macerie e in lunghe ore di guardia ai luoghi resi insicuri dalle esplosioni. Quest’opera fu tenace, assidua, coraggiosa.
Qualche nome da segnalare: Coco Osmida, Rossetti Carla, Lavè Mariuccia, Clava Elisa, Ramognini Isa, Malatesta Mafalda, Franco Itala, Serpelloni Agnese.
Quest’ultima è stata vista infilarsi in fori impraticabili prodotti dallo scoppio delle bombe, tentando di udire se, fra le travi scomposte e le macerie pericolanti, qualche gemito avesse potuto rivelare comunque la presenza di una vittima rimasta sepolta. Essa, compiendo più volte i suoi pericolosi tragitti, riuscì a portare il primo conforto e il primo soffio di speranza a parecchie persone che, immobilizzate dal peso delle macerie, non potevano venir subito liberate. Più di una volta la coraggiosa ragazza è penetrata in passaggi pericolosissimi per mostrare la via ai salvatori onde impedire che una frettolosa opera di sgombero delle macerie finisse per causare perdite irreparabili.
Le Ausiliarie della Brigata Nera, anche in questa occasione come durante il precedente bombardamento del 28 dicembre, si distinsero in modo particolare.
Il 28 dicembre le Ausiliarie Tina Snichelotto e Claretta Enrica Uboldi, con raro esempio di abnegazione e sprezzo del pericolo, si prodigarono per il ricupero di masserizie da uno stabile gravemente pericolante.
Il 4 gennaio l’Ausiliaria Tosca Mosciatti, mentre ancora perdurava la furia dei "liberatori’’, accorreva sui luoghi maggiormente colpiti e, incurante del pericolo, si affaccendava attorno ai feriti, che medicava riducendo in bende un indumento e provvedeva poi a trasportare all’ospedale uno ad uno, da sola, con forza virile e magnifico comportamento.
Quasi in contrasto con l’opera di queste giovani donne, veramente italiane, non mancarono fenomeni di criminosa incomprensione, come quello della donnetta aggirantesi tra le rovine con il suo pechinese o altro cane bastardo che fosse. Questa sciagurata andava osservando ad alta voce che, se i "liberatori’’ fossero stati lasciati in pace, non avrebbero dato noia a nessuno.
L’Ausiliaria Luisa Micolis, che fra le macerie di una casa crollata stava compiendo sforzi sovrumani per salvare un materasso ad una famiglia rimasta senza tetto, fu innocentemente la causa di un "canicidio’’, perchè, nel liberare il materasso, rotolarono anche delle pietre, sotto le quali restò schiacciato il pechinese, o bastardo che fosse. (...)
Un altro caso, non però rimasto impunito, è quello di una donnetta sui trentasette anni, piuttosto signorilmente vestita, che, nella chiesa di San Nicolò, mentre si celebrava la funzione funebre in suffragio delle vittime del bombardamento di quel rione, commentava con falsa pietà l’accaduto, osservando che, in fondo, esse erano dovute alla mancanza di tempestivo aiuto e soccorso. Guardata severamente da un gruppo di Donne Fasciste presenti alla funzione, l’ignobile filo-inglese-americana-russa e zulù credette bene di dover uscire per andarsene in buon ordine. Ma la ritirata le fu tagliata dall’Ausiliaria Carla Rossetti, la quale, dopo averla seguita, l’affrontò e la gratificò di due sonori ceffoni, che le diedero modo di considerare quale sia la prontezza di intervento delle donne in grigioverde in siffatte congiunture. Osservava la scena di lontano un gagà, che, rivolto all’Ausiliaria, le prodigò un ambiguo sorriso. Apostrofato dalla stessa, che avanzando verso di lui lo invitava a farsi avanti, il gagà credette opportuno di ritirarsi con tutta prudenza. E l’Ausiliaria rimase padrona del campo.
(...)
 
 
NUOVO FRONTE N. 197 Dicembre 1999. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)   

PAOLO BUGIALLI NEL RICORDO DELLE AUSILIARIE P.O.W.
 
 
Perché? Cosa c’entra la scomparsa del noto giornalista con le prigioniere di guerra a Scandicci e Casellina?
C’entra, c’entra, eccome! Perché in quel lontano novembre 1945, in uno squallido edificio della Nettezza Urbana, sulla via Pisana alla periferia di Firenze, dietro una fitta cortina di filo spinato, languivano, dimenticate da tutti, quasi trecento ausiliarie prigioniere degli americani prima, e degli italiani poi. In quei lunghi mesi, solo alcuni esponenti della C.R.I. e dell’Arcivescovado fiorentino avevano fatto visita alle "repubblichine’’ recluse: ormai era autunno inoltrato e si disperava di tornare a casa (come invece era avvenuto per i POW di Coltano).
11 novembre - "Radio Campo’’ mette tutte in subbuglio: viene a vederci il cronista di un quotidiano fiorentino. Un giornalista che si interessa di noi?
Eccolo: è toscano, giovanissimo, con uno sguardo penetrante, vivace... L’ha spedito tra noi il direttore del quotidiano "La Patria’’, forse perché scriva un pezzo di colore su questo campo tutto al femminile... Il giovanotto ci mette subito a nostro agio: ci interroga, prende appunti, ascolta le nostre vicende dal 25 aprile in poi. Vuol sapere tante cose... Da quelle che hanno perduto in guerra il marito o il fidanzato, dalle volontarie della Decima (un drappello compatto di ragazze fiere e disciplinatissime); dalle "tripoline’’ figlie dei coloni, sorprese dalla guerra nelle colonie dell’Opera Balilla e arruolatesi nel S.A.F. Una giornata diversa dalle altre, che contribuì a rincuorarci, facendoci scordare malinconie e timori.
Dopo, tornammo ad occuparci dei quotidiani problemi: procurarci del cibo extra, del sapone, delle sigarette. E difendersi dal freddo, confezionando maglioni con la lana delle coperte "fregate’’ agli americani. Ricomincia l’attesa, spesso vana, della posta da casa.
Ancora qualche giorno ed arriva al campo il giornale di Bugialli. C’è un bel pezzo su di noi, nientemeno che a tre colonne! Chi ha la fortuna di possedere carta e penna lo ricopia minuziosamente, le altre se lo imprimono nella memoria. È la prima volta che qualcuno si interessa a noi e, quel che conta, tra le righe si avverte un calore umano, un senso di simpatia cui siamo da tempo disabituate.
Non solo: il giovane ci scrisse pure una lunga lettera, esprimendoci quanto non era stato pubblicato nell’articolo.
Anche la lettera venne diligentemente ricopiata e portata a casa, fra le altre povere cose, quando finalmente tornammo in libertà. L’ausiliaria Matricola 81g.608719H, mentre, commossa e orgogliosa, trascriveva le sue parole, formulò al giovane inviato alle prime armi l’augurio di diventare un giorno un grande giornalista.
La lettera è stata pubblicata integralmente sul n. 106 di Nuovo Fronte (marzo/aprile 1991). Fra l’altro, diceva: "... sappiate che se c’è chi vi disprezza, c’è anche (e non sono pochi) chi vi stima e vi ammira. Voi siete donne, donne nel più completo senso della parola, vere donne. (...) Sapete chi invidio? I vostri fidanzati o mariti, almeno loro saranno sicuri di avere delle donne, non degli avanzi anglo-americani’’.
La "penna graffiante del giornalismo’’ (come l’ha definita Il Giornale), si è fermata. Grazie, Bugialli. Alle tante espressioni di cordoglio, si uniscano quelle di chi ti ha conosciuto dietro il reticolato ed ha poi seguito le tue corrispondenze da tutto il mondo, fiera che le POW italiane ti abbiano offerto lo spunto per uno fra i primi articoli della tua brillante e lunga carriera.
 
 
NUOVO FRONTE N. 197 Dicembre 1999. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

LE AUSILIARIE CROCEROSSINE
Penna d'oca
 
 
    Le Crocerossine... - Si diventa infermiere della C.R.I. dopo due anni di corso. La consegna della grande croce da appuntare sul petto sancisce il diritto ad essere chiamata "Sorella" e ad essere equiparata al grado di sottotenente. Durante il corso, invece, l'allieva viene chiamata "Sorellina". E’ ben nota la divisa della crocerossina, come è ben nota la rigida disciplina che contraddistingue il Corpo. La caratteristica fondamentale rimane però il lavoro prestato "gratuitamente", il che lo trasforma in un'alta missione umanitaria. A lei spetta solo il vitto e l'alloggiamento; neppure la divisa viene data in dotazione. Questo fatto pose in seria difficoltà la Croce Rossa Italiana della R.S.I., costretta a fronteggiare la situazione di numerose infermiere profughe, prive anche del normale sussidio elargito ai profughi civili, in quanto esse, mangiando in ospedale, non dovevano provvedere al proprio sostentamento giornaliero. Per rimediare all'inconveniente venivano inviate negli ospedali tedeschi che, in base ad accordi, passavano L. 200 mensili a titolo di supplemento vitto come integrazione alla diversità della mensa; questa piccola somma veniva utilizzata, naturalmente, per le necessità più urgenti.
 
    LE INFERMIERE AUSILIARIE DELLA CROCE ROSSA
    Sorsero con la Repubblica Sociale. Il corso durava appena due mesi. La divisa ospedaliera era la stessa delle allieve, ma mentre nell'Italia Centrale infuriava la guerra e nessuno pensava alla divisa fuori servizio, al Nord si organizzava il Servizio Ausiliario Femminile che si affiancava al rinato esercito con tutte le sue specializzazioni. Di conseguenza le Infermiere Ausiliarie, come il Corpo di Sanità, pur appartenendo alla Croce Rossa , dipendevano dall'esercito e come i militari ebbero la divisa grigioverde fuori corsia, i gladi al posto delle stellette ed una crocetta rossa sulla manica. La divisa ospedaliera, da bianca divenne azzurra. cuffia compresa: sul grembiule bianco fu appuntata la sigla del S.A. sovrastata dalla Fiamma. Suo appellativo rimase "Sorellina" e il grado fu equiparato a Sergente. Il lavoro si svolgeva sotto la direzione dell'Infermiera Volontaria C.R.I., di cui condivideva la disciplina e lo spirito, ma ogni gruppo - pur abitando nello stesso ambiente - ebbe alloggio separato. Il trattamento economico fu lo stesso delle Forze Armate. Altra figura che si incontrava nel lavoro ospedaliero era l'Infermiera professionale. Fuori servizio vestiva in borghese, non lavorava in gruppo ma singolarmente, spostandosi dove più le conveniva e più guadagnava. Era una civile a tutti gli effetti che faceva della professione il proprio mezzo di sostentamento. La Crocerossina, invece, lasciava la sua vita privata, la sua occupazione, la sua carriera per portare, là dove veniva inviata, un soffio di calore umano e un po' di conforto, spinta unicamente da un senso di carità e di amor di Patria.
 
    COM'E' UNA "SORELLA"
    Così ebbe a scrivere, il 18 dicembre 1944, l'Ispettrice Commissaria di Verona a tutte le Infermiere dipendenti quale monito e programma di vita e di servizio.
 
    Anche nel suo volto di guerra la Patria ha la sua maternità. Infermiera, sii tu la maternità della Patria.
    Dalla guerra la Patria è ferita nei suoi figli migliori: sii tu dolcezza, armonia, luce nel sacrificio, del sangue e della vita.
    La guerra inevitabilmente scatena l'odio, la vendetta e perfeziona i mezzi di distruzione: tu dona l'amore, la concordia, la dedizione assoluta che espia e ricostruisce.
    Dalla guerra sorgono situazioni impensatamente tragiche che colpiscono nazioni, famiglie, individui: non meravigliarti mai, non scandalizzarti mai, compatisci sempre.
    Se un prigioniero ti chiama “Sorella”, pensa che egli non è più tuo nemico, ma un sofferente ospite della tua Patria.
    Sii intimamente buona e profondamente generosa, senza attendere ricompensa alcuna: tuo unico insuperabile onore sia servire la Patria come "Infermiera Volontaria di guerra"
    E vorrei anche riportare le parole conclusive del "Decalogo dell'infermiera" composto da un'ignota Sorella, parole che mi hanno sempre accompagnato nell'espletamento del mio servizio durante la Repubblica Sociale:
    “Dio conosce il tuo nome e lo benedice. Ogni lacrima ti ignora, ma ti battezza. Ogni labbro arso dallo spasimo della vita ed ogni cuore ardente dalla sete e dal desiderio di pace t'invoca: SORELLA!”
 
 
NUOVO FRONTE N. 159. Dicembre 1995 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

I TRE CORSI NAZIONALI DELL’O.N.B. Autointervista a due di noi
Velia Mirri e Nadia 
 
 
    Senza nulla togliere a quante hanno frequentato i corsi di Venezia e di Como riteniamo doveroso riproporre qualche notizia sui tre corsi che l'Opera Nazionale Balilla - in parallelo con quelli dell'Esercito repubblicano organizzò nella primavera/estate dei 1944. Essi accolsero le volontarie più giovani, non ancora diciottenni, provenienti dalle file della G.I.L. (tornata ONB dopo la costituzione della RSI).
    Il primo fu quello, ormai mitico, di Noventa Vicentina: vi parteciparono ben 326 ragazze, per la maggioranza studentesse, disciplinate, entusiaste, ben inquadrate. Avete presente la spettacolare foto di gruppo che le ritrae sulla scalinata dell'edificio scolastico che le ospitava? Parecchie si sono riconosciute (o hanno creduto di farlo) in quella marea di testoline brune e bionde. Purtroppo, il corso "Avanguardia" incontrò gravi difficoltà per un’epidemia di tifo, che causò pure un decesso. Qualcuna ricorda con quanta competenza e amorevolezza il Dr. Filippini, tenente della G.N.R., si prendesse cura delle ausiliarie colpite dall'infezione.
    Il secondo corso, "Ardimento", ebbe luogo a Castiglione Olona, provincia di Varese. Il terzo, che avremmo voluto denominare "Audacia" si tenne in settembre, a Milano, in una grande scuola di via del Turchino, angolo viale Molise. Purtroppo, una notte un gruppo di partigiani compì un attentato all'accantonamento e uno dei militi di guardia, Siro Gajani, perse la vita nella sparatoria. Così il corso prese il suo nome. Nadia e Velia sono due fra le "balilline" (una settantina circa) uscite da questo Corso. Dopo cinquant'anni e passa, ci siamo finalmente tornate assieme, in quel vasto edificio in puro "stile littorio", tuttora ben conservato e funzionante.
 
    E un pomeriggio e apparentemente non c'è nessuno. Alla custode diciamo la verità ("Tanti anni fa, abbiamo frequentato un corso in questa scuola... Possiamo dare un'occhiata?"). Quella ci scambia per maestre che hanno seguito uno dei tanti corsi di aggiornamento e ci lascia entrare senza fare storie, anzi si mostra assai gentile. Così perlustriamo in lungo e in largo sia l'ampio cortile che i locali e i corridoi.
    Ci scambiamo occhiate complici, durante questa simpatica "caccia ai ricordi", mentre ricomponiamo frammenti di memoria e insieme riviviamo quella lontana e incancellabile esperienza.
    Un po' sul serio e un po' per gioco, Velia intervista Nadia, e Nadia intervista Velia.... Così ci rendiamo anche conto, non senza sorpresa, che un ricordo, più un altro ricordo, non dà come risultato due ricordi, ma tutta una serie di ricordi, vivissimi e gradevoli.
- Nadia, tu che hai la classica memoria di elefante, trovi che questo posto sia come allora?
- Sì, nel complesso è tale e quale. Vedi, in questo cortile ogni mattina facevamo esercitazioni ginniche. Rammenti la nostra comandante? Si chiamava Italia Talpo, ed era una "orvietina", quanto mai preparata ed esigente. Ma anche noi, che venivamo dalle file della G.I.L., eravamo abituate all'esercizio fisico e non sentivamo, in genere, la stanchezza.
 
 
 
Primo Corso "Avanguardia" dell'Opera Nazionale Balilla (da Servizio Ausiliario Femminile nelle Forze Armate della RSI-NovoAntico Editrice: per altre foto vedi Breve album fotografico di ausiliarie con didascalie)
 
 
- Com'era scandita la nostra giornata? Lassù, nelle aule al primo piano, avevamo le camerate.
- Sveglia presto al mattino, rifarsi il letto (ben teso, ovviamente), poi colazione nel grande refettorio a pianterreno, indi marce e ginnastica all'aperto... Il pomeriggio, invece, lezioni ed esercitazioni, a seconda della "specialità" scelta....
- Tu, Nadia, quale corso seguivi?
- Non ci crederai, ma volevo diventare marconista.
- Marconista? E usavi l'alfabeto Morse?
- Proprio così. Mi sembrava il modo più semplice per venire poi impiegata in un reparto operante... Noi marconiste avevamo anche composto una canzoncina, sull'aria di quel motivetto - jukelì jukelà - che tutte le ausiliarie conoscevano... "Siamo otto marconiste sempre allegre e mai tristi / pur facendo coi tic-tac strafalcioni in quantità".
- Tanto, poi, al fronte non ti ci hanno mandato, esattamente come me, che avevo scelto dattilografia.... Senti, ma la domenica si usciva?
- Al pomeriggio avevano qualche ora di permesso, però solo se veniva a prenderci qualche familiare. Una volta sono uscita con mia sorella maggiore Cinzia, del Corso "Italia". Andammo al cinema, a vedere un film con Osvaldo Valenti e la Ferida. Purtroppo ho dimenticato il titolo. Come vedi, anch'io ho qualche vuoto di memoria...
 
    Adesso le parti si invertono, e Nadia intervista l'amica.
- Tu, Velia, che stavi sempre con le "tripoline ", hai più saputo niente di loro?
- Purtroppo no, e non riesco a perdonarmi di non averle cercate abbastanza a guerra finita, dopo che uscimmo dal campo dì concentramento di Scandicci. Ma, come sai, erano per noi tempi duri; dovevano reinserirci nella vita civile, riprendere gli studi, affrontare i sacrifici causati dall'epurazione, e dalla nostra appartenenza alla Repubblica Sociale. Le tripoline... Le chiamavano così perché erano figlie dei nostri coloni in Libia. Durante la guerra, il regime fascista aveva provveduto a trasferire questi giovanissimi in Italia dove, in pratica - a seguito della perdita della "Quarta Sponda" - erano rimasti bloccati. Ospiti nei collegi della GIL, proseguivano gli studi ed erano assistiti e tutelati. Molti di loro, nel periodo della R.S.I., si arruolarono volontariamente nelle Fiamme Bianche o nel S.A.F. Come vorrei ritrovare qualcuna delle mie amiche di allora! Un gruppetto di loro prestò servizio, come me, al Comando Provinciale della G.N.R. di Vercelli. Erano ragazze splendide, efficienti e disciplinate: le vicende belliche le avevano abituate alla vita di comunità, all’autonomia e al senso del dovere.
- E del giuramento, cosa ti ricordi?
- Una giornata memorabile quel 30 settembre 1944. Eravamo tutte eccitatissime, rammenti? Venne Renato Ricci in persona a consegnarci i gladi. Per l'occasione, gli offrimmo un "Numero Unico" del nostro Corso, tutto "stampato" e disegnato a mano, con tanta passione. Se potessimo rintracciarlo... Un gruppo di redattrici aveva cercato di fermare sulla carta il nostro giovanile entusiasmo, le nostre sensazioni, la nostra voglia di prendere servizio, possibilmente vicino al fronte... Quanto a me, avevo collaborato con un trafiletto satirico sui "gagà", in cui esprimevo tutto il mio disprezzo per questa “specie animale" che aveva il suo habitat preferito nei bar e nei cinema, mentre tanti esemplari di una italica razza di "uomini" combattevano contro l'invasore. Avevo inoltre disegnato e colorato ad acquerello una ausiliaria in divisa estiva (camicia nera, sahariana e gonna-pantalone kaki). Mi sembrava bellissima, avendovi profuso tutta la mia dilettantistica vena pittorica. Altre ausiliarie avevano collaborato con articoli assai più impegnati, ovviamente.
- Terminato il corso, io, Luciana Minardi e la Poli venimmo assegnate al Comando Generale S.A.E di Como. Vennero a prenderci le Comandanti Renata Dragin e Maria Pia Campanella. E voi?
- Io e le tripoline fummo destinate, come sai, a Vercelli, ma siccome i trasporti non erano affatto sicuri, non si fidarono a lasciarci partire da sole. Così restammo all'accantonamento per un'altra settimana, prima che la Comandante Jolanda Ciuffini venisse a prenderci. Fu una settimana memorabile! Nelle poche ore di libera uscita, girammo in lungo e in largo Milano, divertendoci a "fare le turiste". A proposito: sai che "noi militari" si viaggiava gratis sui tram? In base al regolamento, non ci era consentito uscire da sole: come minimo, bisognava essere in due, e gli orari della "ritirata" erano ferrei. Altra novità per noi eccitante: si consumavano i pasti non più all'accantonamento di viale Molise, ma in un moderno edificio di via Marcora, dietro piazza Fiume (oggi piazza della Repubblica), sede di una mensa ufficiali. Fu quella, cara Nadia, una parentesi di assoluta spensieratezza fra il corso di addestramento e il servizio vero e proprio.
- E dopo la settimana di vacanza?
- Fine della cuccagna, ma il servizio vero e proprio, duro ma estremamente gratificante. Un servizio continuato senza interruzione fino agli ultimi di aprile... Ma questa, accidenti, è un'altra storia.
 
 
NUOVO FRONTE  N. 163 E 164. Aprile-Maggio 1996  (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

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